Lo spettacolo “Ulisse o i colori della mente” dell Teatro Popolare d’Arte di Firenze diretto da Gianfranco Pedullà si è aggiudicato il premio Anct “Catarsi, Teatri delle diversità”. Ad annunciarlo è stato il Presidente dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, Giulio Baffi, nel corso della diretta online in cui sono stati conferiti i Premi Anct 2020.
“Un Premio che è da considerare in un tutt’uno – ha spiegato il presidente dell’Anct Giulio Baffi nel corso dell’annuncio - per uno spettacolo, per i suoi protagonisti, per un tenace, prezioso, maestro guida/regista, Gianfranco Pedullà, e per chi ha reso possibile questa attività di teatro in carcere e il suo superbo esito credendoci fermamente e agevolando il superamento di tante difficoltà, il direttore Carlo Mazzerbo"
Sono 15 i premi assegnati, a cui si aggiungono il “Premio Paolo Emilio Poesio alla carriera”, attribuito quest’anno a Milena Vukotic, ed i due premi “gemellati” con le riviste Hystrio e Catarsi-Teatri delle diversità.”
I premiati di quest’anno sono:
Lo spettacolo ha visto protagonisti gli attori/detenuti della Casa di Reclusione dell'isola di Gorgona, ed è andato in scena in strade e spazi dell’isola.
Gufetto era presente alla prima dello spettacolo, con Leonardo Favilli che ci ha raccontato in cosa è consistito questo progetto, le performance attoriali e l'effetto salvifico per i ragazzi che vi hanno partecipato.
Ecco le nostre riflessioni su questo toccante spettacolo!
Nell’ambito del progetto “Il teatro del mare”, condotto da Gianfranco Pedullà, Francesco Giorgi e Chiara Migliorini all’interno del progetto Teatro in Carcere della Regione Toscana in collaborazione con la Casa di Reclusione di Gorgona si è tenuta il 5 settembre scorso la prima assoluta di Ulisse o i colori della mente, appuntamento che ha registrato il tutto esaurito e che conclude la prima esperienza di laboratorio teatrale all’interno della Casa di Reclusione sull’Isola di Gorgona, nell’arcipelago toscano.
Questo lavoro costituisce il primo di tre spettacoli che avranno come tema conduttore il mare, ancora oggi barriera naturale pressoché invalicabile per coloro che sono reclusi sull’isola e tra i quali troviamo gli attori messisi in gioco per partecipare al progetto.
Non è difficile immaginare che questa selvaggia isola nel Mar Ligure possa somigliare alla remota patria dell’eroe classico, dove dopo tante peregrinazioni è finalmente giunto alla conclusione della sua Odissea. Anche noi, seppur con mezzi più confortevoli, sbarchiamo sulle coste di Gorgona, un po’ intimoriti ma anche molto incuriositi da questo mondo che sembra essere estraneo alle dinamiche che riguardano il continente. Per motivi di sicurezza privati di ogni mezzo tecnologico, telefono cellulare in primis, cominciamo ad arrampicarci su per la strada che sale negli spazi di servizio del penitenziario e in particolare a quel prato sulla terrazza dove prenderà nuovamente vita il mito, come si fosse semplicemente trasferito da un’isola all’altra.
Con il mare che satura l’aria di salsedine e il sole abbagliante ed impietoso nell’ora che volge alla canicola, compaiono nello spazio scenico coloro che, in bianco e rosso, si trasformano per un’ora in attori. Da questo momento quella omogeneità di colore dovuta all’abbacinamento solare inizia lentamente ad incrinarsi svelando un’iridescenza latente che le musiche, le parole ed i balli arricchiscono e completano. Gli episodi del mito greco, perennemente immortalati da Omero nell’Odissea, si susseguono sulla scena con l’aiuto di pochi ma efficaci oggetti di scena che hanno il sapore dell’artigianalità, proprio quella di cui la vita quotidiana degli attori, al di fuori dello spettacolo, è fatta. E allora Polifemo si incarna in una struttura di canne e tela sorretta dagli attori mentre un vecchio aratro meccanico simula l’albero maestro della nave cui Odisseo si fa legare per ascoltare senza rischi la voce suadente delle Sirene prima di sbarcare sull’isola di Circe dove i compagni diventano improvvisamente porci con le loro teste di vimini intrecciati.
La struttura drammaturgica di Gianfranco Pedullà è evidentemente frutto di un lavoro fatto sul patrimonio culturale che gli uomini coinvolti nel laboratorio, iniziato nell’autunno 2019, portano con sé, fatto di lingue, tradizioni, ritmi che spaziano dal Senegal alla Romania passando per il Maghreb e le atmosfere partenopee. Pertanto, i testi proposti, solo parzialmente tratti dall’originale omerico, citato soprattutto dalle voci fuori campo, diventano appelli rivolti all’umanità di oggi, qui rappresentata dal selezionatissimo pubblico presente. In una contemporaneità in cui i cavalli di Troia continuano a proliferare sotto forma di virus informatici e in cui non siamo più in grado di discriminare la virtualità dalla realtà, ogni parola, anche se pronunciata con difficoltà, fa breccia e raggiunge quella dimensione emotiva che ci consente di superare ogni sbavatura, ogni imprecisione, ogni dimenticanza che Pedullà è sempre lì pronto a correggere nel ruolo di capocomico in scena. Oltre ad aver contribuito alla stesura dei testi, gli attori hanno messo in gioco le loro qualità interpretative nei canti e nei balli che a fasi alterne ci hanno catapultato nella savana senegalese, nei vicoli di Napoli e nel deserto nordafricano.
Ad incarnare Ulisse sulla scena non è solamente Abdullah, il ragazzo senegalese che interpreta il protagonista, ma ognuno dei ragazzi che con la loro presenza sull’isola testimoniano una vita fatta di fame, di prigionia, di ingegno e curiosità, purtroppo talvolta usati per compiere del male, ma sempre vividi nei loro sguardi e nelle loro voci. La loro interpretazione è una via per mettersi a nudo al fine di evadere temporaneamente e lasciare che attraverso i nostri occhi ed i nostri applausi possano gridare la loro sete di giustizia e la loro volontà di redenzione. Non vogliono essere considerati fenomeni da baraccone come in scena il giullare, con irridente accento emiliano, li mostra al pubblico alla stregua di creature “create dal fango” con “intelligenza da bestia”, rivolgendosi in particolare all’Ulisse nero che si trova davanti. Con l’amara consapevolezza che “se aspetti generosità dagli altri, sei un povero illuso”, confermata dalla stessa Circe (interpretata da Chiara Migliorini) sprezzante nei confronti del genere umano capace di esprimere naturalmente i suoi istinti più reietti, gli attori hanno dimostrato che c’è ancora spazio per l’umanità e la solidarietà. E nessun linguaggio universale potrebbe parlarci meglio della musica che è stata protagonista determinante grazie al diretto contributo dei partecipanti al laboratorio con il coordinamento di Francesco Giorgi.
Per non dimenticare l’originaria impostazione itinerante dello spettacolo, che la riacquisterà prima o poi, come promesso da Pedullà stesso nell’incontro post-esibizione, l’ultimo quadro vede tutti gli attori distribuiti gradualmente lungo la discesa al mare adiacente allo spazio scenico scelto in sostituzione. E’ qui che il nostro Ulisse nero, più che mai rappresentativo del fenomeno migratorio contemporaneo, unico tra gli attori, si rivolge verso il pubblico e con uno sguardo tra l’implorante e l’accusatorio ci chiede di rimandarlo a casa. Ognuno di noi è infatti “viandante, ragazzo, donna, bambino, vecchio” come lui e non può dirsi esonerato dalle richieste di aiuto che sembrano riecheggiare tra le onde di quel Mar Mediterraneo che dall’alba dei tempi è stato ponte tra le culture e oggi rappresenta troppo spesso una barriera invalicabile, cimitero per troppi Ulisse coperti di sale. “I sassi si consumano, non si consuma la vita” : di fronte a quel mare che ha conosciuto troppa morte, non smetteranno mai di giungerci le grida dal profondo degli abissi. E proprio con la citazione della poesia di Roberto Roversi si chiude la messa in scena che raccoglie l’applauso prolungato del pubblico, emozionato e pertanto inizialmente titubante nel suo tributo.
“Da oggi scatta l’effetto del teatro, dopo l’incontro col pubblico”.
Citando lo stesso Pedullà che con gli attori ha incontrato il pubblico dopo la messa in scena, assistiamo all’effetto salvifico che la drammaturgia può avere sui ragazzi che davanti a noi si sentono per qualche ora fuori dai confini di questa particolare casa di reclusione come degli Ulisse che vorrebbero evadere da questa Itaca dove sono costretti. E diventa così inevitabile non rivolgere lo sguardo alla distesa d’acqua che si intravede dalla terrazza per immaginarci l’eroe greco di nuovo in partenza verso nuovi orizzonti, quelli che magari il laboratorio di Pedullà e dei suoi collaboratori riuscirà a costruire per questi ragazzi che hanno negli occhi la consapevolezza del male compiuto e nella voce l’emozione di sentirsi apprezzati e applauditi.
INFO
ULISSE O I COLORI DELLA MENTE
Progetto ideato e diretto da Gianfranco Pedullà (Teatro Popolare d'Arte - Lastra a Signa)
con Francesco Giorgi e Chiara Migliorini
all’interno del progetto Teatro in Carcere della Regione Toscana
in collaborazione con la Casa di Reclusione di Gorgona
foto Alessandro Botticelli
Casa di reclusione dell'Isola di Gorgona (LI)
sabato 5 settembre 2020